📌 Questo dossier
"Cronache di una persecuzione istituzionale" raccoglie episodi documentati di ostacoli, sabotaggi e impedimenti
subiti nelle recenti attività online e nelle pregresse attività fisiche sviluppate nell’arco di tutta la vita.
Ogni capitolo racconta e mette in luce eventi che, presi singolarmente, potrebbero sembrare semplici casualità
o sfortune, ma che nel loro susseguirsi delineano un disegno chiaro e coerente di persecuzione.
Per il passato, la narrazione accompagna il lettore a cogliere il filo che lega i diversi episodi;
per il presente, i dati emergono in modo inequivocabile — screenshot e anomalie tecniche alla mano —
mostrando come tali eventi abbiano inciso sul lavoro e sulla libertà personale.
Secondo episodio del dossier: "Cronache di una persecuzione istituzionale".
La Trattoria del Peso di Buriasco.
PREMESSA
Prima di raccontare la seconda attività ostacolata, voglio aggiungere un dettaglio che si collega all’introduzione del precedente articolo, dove narravo gli ambigui problemi che portarono al default della Freesport. Accennavo che dagli Stati Uniti era arrivata l’unica risorsa concreta per contrastare la persecuzione che denuncio. Ora mi spiego meglio.
I parenti che lasciarono il Bel Paese, abbandonando mio nonno qua, sapevano bene cosa ci aspettava: persecuzioni e difficoltà economiche indotte. Fu suo fratello, emigrato negli USA, a inviargli 5 milioni di lire - una somma considerevole all’inizio del Novecento - perché i problemi che affronto oggi, lui li visse allora. Tuttavia, come già raccontato, ci lasciò con un pugno di mosche.
Per quanto mi riguarda, dieci anni fa scoprii che “zia Nina” mandava mensilmente a mio padre un piccolo contributo per me. Lo fece per anni, anche dopo la sua scomparsa, continuando a inviare il denaro a mia madre. Questa rivelazione - che mi fu svelata da Pino, figlio della poetessa genovese Giuseppina e tenore eccellente - fu causa di dissidi che hanno portato all’isolamento familiare. Isolamento tutt’ora in corso, ma va bene così: ogni cosa ha il suo tempo.
La seconda cosa, però, parla chiaro. Zia Nina, pur non avendomi mai conosciuto — era già residente a New York quando io prendevo corpo nel ’72 — sapeva delle difficoltà che avrei affrontato. Con le sue donazioni, intendeva partecipare attivamente alla causa. E oggi, associo questo gesto alle “curiose” numerosissime visite al mio sito web dagli Stati Uniti, che - se non venisse sistematicamente bloccato nei momenti chiave, come durante le campagne pubblicitarie - permetterebbero ai miei sostenitori nordamericani di contribuire alla causa con semplici acquisti. Ribadisco, poiché l'ho già citato nel precedente articolo, che non ho mai indirizzato campagne verso gli USA, né informato direttamente cittadini americani dell’esistenza del mio negozio online, e non ho neanche un follower di quel paese sui social - motivo per cui tali visite risultano ancor più significative
Ho motivo di credere che non si tratti solo di discendenti della zia - che, tra l’altro, non ebbe figli - ma anche di altri parenti e persone consapevoli, sostenitori della buona causa. Amo ricordare che il popolo americano - non i governanti - è quel popolo che fuggì dai soprusi dei regnanti europei alla ricerca della libertà. Per questo, a prescindere dalla questione personale, godono della mia stima.
Poi però, come se non bastasse, le istituzioni hanno anche bloccato le spedizioni verso gli USA. Ma provvederò: aprirò una seconda attività appoggiandomi a un supplier di zona.
Ancora una nota, poi proseguo con il racconto dell’episodio clamoroso della Trattoria del Peso. L'induzione allo stato di povertà non è un'operazione fine a se stessa, bensì agevola anche ulteriori crimini ancora più gravi. Tuttavia per il momento mi limito a dire ciò
INTRODUZIONE
Clamoroso perché qui vi fu il diretto intervento dello stato Italiano. Avrei voluto occuparmi della Freesport e dei suoi problemi, ma sapevo anche che in due non si poteva andare avanti. Lo dissi chiaramente al mio socio. Stavo già impostando un piano di rientro per le aziende fornitrici, ma lui insistette per tenersi il negozio. Arrivò persino a commuovermi con parole che sembravano sincere: elogiò la mia forza di volontà, la mia capacità di cavarmela nelle difficoltà. Disse di non avere quelle doti e mi convinse.
Ero già pronto a buttarmi in una nuova avventura. Nel frattempo, per dire quanto fossi “depresso”, mi sposai pure. Insomma, niente mi ferma davvero .- e spero che questo messaggio arrivi forte e chiaro anche a chi, ancora oggi, si ostina a perseguitarmi.
Il caso della Trattoria del Peso (2001-2006)
Un progetto che avrebbe dovuto restituire stabilità economica, ma anche generare profitti significativi. Non solo una trattoria: un punto di ripartenza, un investimento lucido, radicato nel territorio, con potenzialità reali. Eppure, proprio per questo, diventò bersaglio.
Buriasco, provincia di Torino. Un piccolo paese, una struttura storica, e un’idea che disturbava l’equilibrio di chi preferisce il controllo all’iniziativa. Non fu un inciampo burocratico, fu un intervento diretto, deliberato, firmato dallo Stato Italiano. Non per sostenere, ma per sabotare. E lo fece con una precisione che, se applicata alla giustizia, ci farebbe vivere in un Paese migliore.
Questa è la storia di un progetto che non doveva funzionare. E di un uomo che, invece, aveva già fatto i conti, firmato i contratti, le cambiali, e acceso la speranza. Ma a quanto pare... quando non possono controllarti, ti bloccano. Quando non possono comprarti, ti isolano. Ma quando non possono zittirti… ti leggono.
Ai persecutori, un messaggio semplice: nonostante i vostri sforzi, io continuo, sempre. E adesso racconto, perché presto o tardi lo avrei fatto. Oggi non puoi fermarmi, puoi leggermi. Ed ogni riga che leggi di questo dossier, è un promemoria del vostro fallimento. Con buona pace dei professionisti dell’ostruzione e dei burocrati col fioretto, io non mi fermo. E se il vostro mestiere è bloccare, il mio è documentare.
IL RACCONTO
In quel periodo mi arrangiai con qualche lavoretto, finché un’amica di mia moglie mi propose di entrare in società per aprire un’attività insieme. Credeva nelle mie capacità imprenditoriali, e così accettai. Avevo a disposizioni l'indennizzo di un incidente stradale e di un furto d'auto (da quell'assicurazione che indusse il fallimento della Freesport :), lei mise una piccola somma ed il tutto formò l'anticipo per rilevare un ristorante. Firmai sulla fiducia, nei confronti della socia, un bel pacco di cambiali con l'avvallo della proprietà familiare di Torino, poiché si trattava di un investimento totale di 260 milioni di lire. Ma l’idea era semplice: in Italia, la ristorazione è quasi intoccabile. Voglio dire, siamo un popolo di “buone forchette”, no?
Così nacque la mia avventura con La Trattoria del Peso, a Buriasco, nel Pinerolese. Il ristorante aveva anche un’abitazione al piano superiore, e inizialmente sembrava tutto perfetto. Ma, puntuale come una tassa, arrivò il primo problema: un mese dopo l’acquisto, scoprii un debito di 60 milioni di lire. La mia socia si spaventò e si tirò indietro, aggravando ulteriormente la situazione. O forse anche questo era premeditato, non faccio fatica a crederlo oggi come oggi.
Dunque siamo già dentro la sezione “influenze esterne”. Come ho già detto, la persecuzione che subisco è così sistematica che nessuna delle mie iniziative, soprattutto prima di averne preso coscienza 14 anni fa, è stata esente da premeditazione da parte di terzi. Persino la dilazione dei pagamenti ottenuta per l’acquisto — apparentemente una fortuna — in seguito appariva come una trappola ben orchestrata. E quel debito nascosto? Non fu una svista: fu parte del pacchetto.
Ma, come sempre, non mi sono lasciato abbattere. Anzi, superai brillantemente anche quel limite. Lavoravo senza il Pos, senza appoggi bancari, assegni e quant'altro, ma oltre a riuscire ad ottenere una nuova rateizzazione, più spalmata, dal precedente proprietario, mi inventai subito delle serate artistiche: musica dal vivo, Karaoke il venerdì e sabato, e samba con ballerine brasiliane la domenica.
Sì, proprio così. Fu un successo. Il locale era pieno, al punto che i curiosi si attaccavano alle finestre pur di sbirciare. Non scherzo. Parliamo di un paesino del Pinerolese, più di vent’anni fa: portare un pezzo di Brasile lì dentro fu una vera novità. E Claudia, la ballerina, -ma anche Marcelo- era un vero spettacolo - e non solo per l’estetica: erano professionisti con la “P” maiuscola.
Il menù fisso a pranzo da 9 euro e 50 garantiva una certa stabilità, anche se non faceva guadagnare granché. I veri incassi arrivavano nel weekend, finché… intervenne il sindaco.
Ecco il primo atto diretto dello Stato Italiano contro la mia attività. Prima cercò di impedire le serate artistiche, arrivando anche ad alzare la voce. Ma io avevo tutte le carte in regola, e quindi dovette fare marcia indietro.
Fine? Neanche per sogno. Iniziò a mandare i Carabinieri per “controlli di ordinaria amministrazione”. Ma attenzione: parliamo di blitz da 4 / 5 uomini armati con mitragliette, che entravano nel locale pieno di famiglie. Ricordo di bambini, terrorizzati, che piangevano - e non per un film dell’orrore, ma per dei veri militari con le armi in mano PUNTATE NEI LORO VISI!.
Facevano il “controllo di ordinaria amministrazione”, chiedevano i documenti, ignoravano i miei lamenti, e li restituivano dopo mezz’ora (quando andava bene) e se ne andavano. Tre weekend di fila. Risultato? Clientela azzerata.
Ricordo ancora le parole di un cliente, alla cassa, l’ultima sera:
“Eh, Beppe… chissà cos’hai combinato per trattarti così.”
Già. Ho detto tutto, no?
Nonostante tutto, portai avanti il locale per quattro anni, pagando a fatica le cambiali. La parte bella? Scoprii di essere anche un ottimo cuoco. Lasciai andare il personale e mi improvvisai chef e pizzaiolo. Mio cognato mi aiutava ogni tanto, ma con un menù fisso da 9,50 euro e piatti abbondanti (altrimenti i lavoratori vanno altrove), il margine era minimo. Il risultato? Schiavitù lavorativa.
Operazione eseguita con successo, sussurra il padre gesuita.
Mi salvò solo l’apertura dei cantieri per Torino 2006: tanti operai, pranzo fisso, bocche da sfamare. E, sorpresa, si spargeva la voce che “Beppe cucina bene”, quindi anche qualche domenica a pranzo funzionava. Le sere, però, mi erano state interdette.
E non è finita. Per quattro capodanni di fila, l’unica sera in cui un ristoratore può guadagnare qualcosa di serio, avevo la SIAE dentro il locale sistematicamente!. Altro che discoteche. Sembrava di essere l’unico punto di interesse nazionale per i controlli dei diritti musicali. Nessun margine, solo pressioni, e pagamento dei dazi anche per i familiari ai tavoli (dai quali non percepivo alcun danaro).
Aggiungo solo, senza troppi dettagli: mi arrivarono multe assurde, orchestrate dal solito sindaco e dalla SIAE. L’ASL, invece, mai poté dire nulla: i locali erano puliti e a norma. Ora non lo sono più - la trattoria è chiusa - ma di recente ho proposto la riapertura alla nuova amministrazione comunale (il sindaco di allora è andato ad un appuntamento con il Karma), garantendo di riportarla almeno al livello in cui l’avevo lasciata. Mi faranno sapere. Ma, sinceramente? Non ci spero per niente - è una proprietà di stato, quello che si impegna a impedirmi il lavoro.
Poco prima delle Olimpiadi, si presentò un residente con un’offerta modesta in contanti. Accettai. E scappai dall’Italia, destinazione Brasile.
Allora non capivo. O meglio non potevo capire. Le dinamiche erano mascherate da formalità, i segnali travestiti da coincidenze. Ma oggi, ogni dettaglio si ricompone, e ciò che sembrava sfortuna, rivela intenzione, rivela premeditazione.
Scrivo adesso, perché non mollano, continuano a bersagliare ogni progetto e contestualmente mi attaccano. Come? ne parlerò in successivi articoli. Dunque racconto tutto.
E ogni parola che affido a questo dossier è una tessera che torna al suo posto.
Per chi ha ostacolato, per chi ha osservato senza dire nulla: ogni riga è una traccia, ogni episodio, una prova.
Con i sabotatori non dialogo, li documento. Ai cultori dell’ostruzione, lascio il privilegio di leggere ciò che non sono riusciti a impedire. E li invito - con la stessa fermezza con cui racconto - a riflettere.
A desistere da quelle azioni che, ancora oggi, tentano di bloccare il mio lavoro.
Perché la verità, una volta scritta, non si cancella. E chi la ostacola, finisce per confermarla.
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